La “scuola buona” di don Milani e don Mazzolari

Nel giorno in cui il Papa si reca a pregare sulle tombe di don Milani e di don Mazzolari, il nostro Parroco ricorda i due “preti scomodi” sulle pagine de Il Quotidiano del Sud. Di seguito l’articolo del nostro Parroco su Il Quotidiano del Sud del 20 .06.2017 pp.1 e 37

L’omaggio di Papa Francesco a don Milani e a don Mazzolari rappresenta per me e per  tantissime persone, un ritorno alle sorgenti. Poter parlare oggi apertamente e alla luce del sole di questi due profeti, che per intere generazioni furono” maestri di vita “dietro le quinte”, è segno certamente di una grande conversione ecclesiale e nello stesso tempo motivo di  una grande provocazione per  tutti.

Lorenzo Milani e Primo Mazzolari: due sacerdoti scomodi e quindi profondamente significativi per la storia recente della Chiesa in Italia; due sacerdoti che, ben prima del Vaticano II, hanno incarnato quello spirito di Chiesa in uscita ed in dialogo con il mondo che tanto piace a Papa Francesco. In questo senso la visita del Santo Padre alle loro tombe ed i riflettori accesi sulle loro vite,intendono, come ha  scritto Padre Giancarlo Pani nell’ultimo numero di Civiltà Cattolica, “dare il giusto riconoscimento di una profezia che la Chiesa locale  a suo tempo non ha saputo apprezzare.

Di questi due profeti, tante sono le scelte ed i temi chiari che continuano ad interrogarci.

Di Don Milani vorrei innanzitutto ricordare la Scuola di Barbiana, facendo parlare direttamente uno dei protagonisti, Francuccio Gesualdi.

Era una scuola – afferma Francuccio – di scienza e di lingua, di pensiero e di vita, di denuncia e di coerenza. Il suo obiettivo era fare di noi degli uomini liberi, capaci di capire la realtà, di difendersi, di partecipare, di pensare, di scegliere”.

Una  scuola , dunque , per  tutti e dove tutti fossero protagonisti. Una  scuola costruita a partire dagli ultimi e con il loro passo. Già il  mottoI care” (mi interessa, mi sta a cuore) era emblematico dello stile educativo di una scuola non elitaria e che, al contrario, doveva contribuire alla crescita culturale e sociale di chi aveva meno mezzi, come i figli degli  operai e dei contadini. Una scuola aperta tutti i giorni dell’anno e dove tutti avessero la parola perché “la ricchezza degli uomini sta nella loro capacità di comunicare”, perché è la parola  che permette di lottare per la propria dignità ed i propri diritti. Non  a caso a Barbiana è nata Lettera ad una Professoressa, esempio di scrittura collettiva e soprattutto di un progetto collettivo in cui vengono declinati i valori della Costituzione: libertà, partecipazione ed uguaglianza (che non è parte uguali  tra diseguali).

La  scuola di Barbiana è stata un’esperienza singolare e rimane attualissima anche ai nostri giorni della “buona  scuola”, cioè di quella scuola che nei fatti continua ad essere competitiva ed incapace di camminare a passo di chi stenta a camminare, una scuola che non ha risorse né finanziarie e né umane per gli ultimi. Interessante a tale proposito quanto  affermato nello scorso mese di aprile, in un videomessaggio, da Papa Francesco a proposito dell’azione educatrice di don Milani : “La sua inquietudine non era frutto di ribellione ma di amore e di tenerezza per i suoi ragazzi, per quello che era il suo gregge, per il quale soffriva e combatteva, per donargli la dignità che, talvolta veniva negata. La sua era un’inquietudine spirituale alimentata dall’amore per Cristo, per il Vangelo, per la Chiesa, per la società e per la scuola che sognava sempre più come un ‘ospedale da campo per soccorrere i feriti, per recuperare gli emarginati e gli scartati”.

Del resto fra le idee forti che hanno orientato la vita di don Lorenzo Milani al primo posto c’era  certamente l’amore per i poveri e la necessità di adoperarsi per loro in nome del Vangelo, unitamente all’impegno per la pace per la non violenza. Da qui la scelta dell’obiezione di coscienza e della cosiddetta obbedienza responsabile.

Ed è l’etica della Pace e l’amore per i poveri ed i lontani che in modo particolare  unisce don Milani a don Primo Mazzolari, ambedue “profeti scomodi”. Il cristiano, per don Primo è “uomo di pace”, non “un uomo in pace” perché “il vero senso della pace è il riconoscimento che c’è un prossimo cui dobbiamo voler bene e che, se non gli vogliamo bene, abbiamo già ucciso dentro di noi”.

Assieme alla passione per la pace, in don Primo Mazzolari era presente un forte amore per i poveri e per i lontani.

Per Mazzolari è dall’incontro con il volto della persona dell’altro, in particolare del lontano, che nasce quella capacità di interpellare l’altro che diventa poi possibilità – appunto – di annuncio.

Ed è stata proprio la necessità di portare il messaggio evangelico ai “lontani”, o a quanti si erano allontanati dalla Chiesa per colpa dei peccati e del comportamento di tanti cristiani e quella di riformare la società italiana (siamo negli anni Trenta) su basi morali di giustizia, solidarietà, sostegno ai poveri che procurarono a don Mazzolari tanta sofferenza. Le sue posizioni quanto mai attuali, a quei tempi suonavano come “eversive”, sia per il S. Uffizio, che giudicò erroneo il libro “La più bella avventura”, sia per i fascisti, che nel 1931 provarono a eliminare il prete scomodo con tre colpi di rivoltella andati a vuoto.

A differenza di don Milani la riabilitazione per don Mazzolari arrivò prima. Nel 1957 l’arcivescovo Montini lo chiamò infatti a predicare la missione a Milano e Papa Giovanni XXIII, ricevendolo in udienza nel 1959, lo definì “Tromba dello Spirito Santo in terra mantovana”. Lo stesso Montini, divenuto Paolo VI, dirà di don Mazzolari: “Lui aveva il passo troppo lungo e noi si stentava a tenergli dietro. Così ha sofferto lui e abbiamo sofferto anche noi. Questo è il destino dei profeti”. Il nullaosta per l’apertura della causa di beatificazione di don Primo era giunto nel 2015. Ora sia il lavoro dei censori teologi che quello della commissione storica sono stati favorevoli ed è possibile che il processo parta, a livello diocesano, in autunno.

Don Lorenzo e don Primo: due preti di periferia, due “pastori”in definitiva, di quelli con l’odore delle pecore che non hanno avuto paura di sporcarsi le mani, che hanno sofferto l’incomprensione sulla propria pelle per affermare e difendere concetti che oggi sembrano scontati ma che 50 o 60 anni fa suonavano come eresie. Due sacerdoti che si sono piegati sulle ferite dei fratelli più deboli e bisognosi, infischiandosene dei benpensanti scandalizzati. Ecco perché Papa Francesco vuole rendere loro  omaggio. Perché evidentemente vede in loro la figura del buon pastore, del samaritano che sa avere compassione dell’altro. Ed insieme a Papa Francesco,  anch’io e tanti Parroci, che da tempo ci ispiriamo al Priore di Barbiana e al Parroco di Bozzolo, intendiamo continuare a guardare a questi due modelli di “pastore” per essere nel nostro servizio sempre più fedeli a Dio e all’uomo.

 

Don Pino Demasi
Parroco a Polistena

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