Il problema delle “vacche sacre” non è certamente nuovo. Soprattutto per la Piana di Gioia Tauro. Avevo appena 20 anni quando per le strade che portavano alla mia cittadina natale, Cittanova, le vacche vagavano indisturbate allo stato brado. Erano gli anni della faida, anni brutti, anni di paura. Quei bovini , indisturbati, iniziavano la loro opera di distruzione causando incidenti stradali e provocando danni ai campi coltivati e ai giardini della gente. E nonostante questo, man mano che passavano i giorni, quelle vacche venivano sempre più “riverite” fino ad essere considerate “sacre”.
In realtà ad essere riveriti non erano quei bovini , ma i loro proprietari, che, impegnati in una faida cruenta, che avrebbe, nel corso degli anni, seminato decine e decine di morti, avevano necessità di mostrare a tutti la loro forza e la loro potenza. E così quelle vacche diventarono il simbolo del potere mafioso, il simbolo di chi con la violenza si appropriava del territorio, tra il silenzio delle Istituzioni e la paura della gente, costretta a subire pur di evitare altre intimidazioni e altri soprusi di ogni tipo.
Nel corso d egli anni, in realtà qualche Sindaco del territorio invocò provvedimenti ad hoc, ma non fu ascoltato. Solo nel 2003, un prefetto della Repubblica, Goffredo Sottile, firmò un decreto di abbattimento delle vacche sacre, ma senza grandi risultati.
E arriviamo ai nostri giorni, quando un altro rappresentante territoriale del Governo, il Prefetto Claudio Sammartino ci riprova a sbarazzare i nostri territori dalle “vacche sacre”, ben conscio che abbattere quel bestiame significa finalmente spezzare una sudditanza che prosegue indisturbata da oltre un quarantennio.
L’ordinanza del Prefetto, firmata lo scorso 8 maggio, dispone che le «vacche sacre» siano catturate e abbattute «nel caso in cui dovessero creare situazioni di pericolo concreto per l’incolumità delle popolazioni e per la sicurezza della circolazione sia stradale che ferroviaria».
Io sono tra coloro che plaudono a questa iniziativa per diversi motivi, innanzitutto perché l’ordinanza non dispone una caccia indiscriminata, ma interventi mirati solo nei casi in cui il pascolo anarchico delle mucche metta a repentaglio la vita e le proprietà altrui.
Appartengo a questo territorio e da prete conosco molto bene il dramma delle persone che sono costrette a convivere con la prepotenza mafiosa e criminale. Tante persone sono state costrette ad abbandonare le loro campagne per non subire vessazioni di ogni tipo! Oggi lo Stato intende essere presente a fianco a queste persone anche in modo forte, non perché non ami gli animali o perché intenda sottovalutare altre possibilità di risolvere il problema. Ma perché riappropriarsi del territorio e salvaguardare la vita dei cittadini e la loro dignità richiede in questo momento un’azione di forte repressione fino all’abbattimento, se necessario, di alcuni capi di bestiame.
Rispetto e stimo gli animalisti, condivido tante loro battaglie, ma chiedo loro di inquadrare il problema delle “vacche sacre” in un contesto più ampio di lotta dura alle ndrangheta. Il loro discorso è condivisibile, ma il nostro comune nemico, la ndrangheta,è molto più forte di ieri. E nel combatterla non possiamo permetterci il lusso di sbagliare strategia. Né possiamo permetterci il lusso di essere divisi. La lotta alle mafie richiede impegno e scelte coraggiose da parte di tutti. E soprattutto deve trovarci uniti. Sono convinto che I promotori della petizione contro l’ordinanza del Prefetto, al pari di me,sono ben consci di tutto questo e,al pari di me e forse più di me, sono in prima linea nella lotta alle mafie. Mi sembra giusto, però, in questo momento essere a fianco al Prefetto Sammartino che con un gesto forte ha voluto ricordare ai mafiosi che non sono i padroni del territorio e della vita delle persone che lo abitano. E tutto questo non mi sembra cosa da poco conto, anche se il prezzo da pagare è la morte di alcuni capi di bestiame. Ma non dimentichiamoci
che tanti e tanti uomini e donne, semplici cittadini, forze di polizia, magistrati, sacerdoti, giornalisti, rappresentanti delle Istituzioni ci hanno rimesso la vita nella lotta alle mafie. E la loro vita non credo valesse meno della vita di alcuni capi di bestiame! Nel nome di queste persone ed insieme al Prefetto, con i fatti diciamo in modo forte ai mafiosi che la dignità e la libertà della persona vale più di ogni altra cosa.
Don Pino Demasi
Referente di Libera per la Piana di Gioia Tauro
Da “ Il Quotidiano della Calabria” del 15 maggio 2015