Il nostro Parroco don Pino Demasi, ha partecipato al Convegno di inaugurazione della Chiesa costruita sul terreno confiscato ai Piromalli, svolgendo la relazione sul tema “L’intento profetico della Chiesa diocesana: l’opera di S.E. Mons. Luciano Bux”. Questo il testo della relazione:
Il fenomeno mafioso, in quanto espressione di violenza, sembra essere confinato a momenti straordinari della vita sociale, quando cioè accadono omicidi, atti di intimidazione, danneggiamenti e così via; non si nota, invece, che l’azione mafiosa, per sua natura, ha bisogno di vivere nelle pratiche quotidiane e di influenzare fortemente le culture individuali e collettive.
In particolare, relativamente alla ndrangheta, nei nostri territori, abitualmente si pensa ad essa come ad un’organizzazione introversa ammalata di omertà. In verità, il non parlare e non far sapere non le si addice, poiché essa vuole dire, insegnare, educare.
La ‘ndrangheta è un’associazione segreta che vuol farsi conoscere da tutti poiché non occulta le azioni che compie, nemmeno quando fa sparire qualcuno di lupara bianca, ma le firma, vi esprime i “suoi” significati e li comunica. Non conquista solo il denaro, le merci, beni e persone ma anche i significati. In stridente opposizione alle varie pedagogie emancipatrici, la ‘ndrangheta più che la forza dell’educazione attua l’educazione della forza
La mafiosità dei comportamenti, infatti,: – dei boss e quelle delle donne di mafia, quella dei giovani in carriera nelle cosche e quella degli altri giovani, ma anche quella che si respira nelle relazioni, nelle parole e nei silenzi delle nostre cittadine – si esprime attraverso regole educative piegate al raggiungimento degli scopi criminali dei clan, non certo della crescita umana dei suoi giovani componenti, per i quali è stabilito secondario persino il sentimento di amicizia.
Rivolte all’interno come regolamenti rigidi, queste regole si impongono nelle comunità locali come regolazione sociale. Esse insegnano ai giovani il potere della forza, l’importanza di riprodurre modalità rigide e ripetitive di comportamenti sociali – come ad esempio di far pagare il pizzo -, mostrano che chi apprende, dopo essere stato messo alla prova, ottiene fiducia e fa carriera interna.
La vita della comunità, del mercato, della politica e della società civile , della stessa Chiesa risentono, dunque, fortemente della presenza del sistema mafioso, anche nel modo come le stesse istituzioni si relazionano all’interno dei loro ambiti.
La Chiesa di Oppido – Palmi, sin dalla sua nascita nel 1979 , ha preso subito coscienza di questo modus vivendi del territorio e dopo qualche tempo di rodaggio, nel Convegno ecclesiale di Taurianova (1985), assemblea che senza mezzi termini possiamo considerare fondativa della nuova circoscrizione ecclesiastica, si metteva seriamente in ascolto dell’uomo della Piana e alla luce della Parola di Dio e del Concilio Vaticano II, decideva di essere al servizio della comunità degli uomini della Piana individuando come primo obiettivo quello di creare una cultura alternativa a quella mafiosa.
Una Chiesa, quindi, che in tempi non sospetti, ha scelto anch’essa di sporcarsi le mani per cancellare i grigi ed i neri della malavita con i colori ed i bianchi della buona vita del Vangelo.
Una Chiesa che ha scelto di sentirsi sempre più coinvolta in ogni azione civile diretta a formare le coscienze e ad ispirare ogni azione al bene comune.
La lettera pastorale di Mons. Benigno Papa “Questa è la Chiesa che amo” che accompagnava gli Atti e quindi la restituzione delle scelte pastorali del Convegno di Taurianova è certamente ancora oggi, insieme alla Sacra Scrittura ed i documenti del Concilio, la carta magna, a cui ispirarsi.
E’ questa Chiesa che ha trovato don Luciano Bux al suo ingresso in Diocesi, una Chiesa in fermento e fortemente presente nel territorio grazie anche all’impegno in questo senso del successore di Mons. Papa e suo predecessore, don Domenico Crusco.
Ed in questo cammino di Chiesa “compaginata nella carità, vivente in stato di missione per prestare il suo servizio di amore alla comunità degli uomini del territorio” (Questa è la Chiesa che amo – conclusione) don Luciano Bux ha scelto di inserirsi
Dalla convinzione che la Chiesa nel territorio della Piana deve essere tutta evangelizzata ed evangelizzante, liberata e liberante ha insistito sulla nuova evangelizzazione per uscire anche in tal modo da un vuoto e spesso errato sentimentalismo pietistico e da un intimismo fine a se stesso.
Per questo, costante è stato il suo richiamo a stare come comunità cristiana dentro la vita, a vivere il territorio della Piana di Gioia Tauro, che ha tanto amato, annunciando con animo deciso che il bene è più forte del male, denunciando con forza la ndrangheta e tutto ciò che calpesta il progresso di questa terra così carica di storia, aiutando gli altri e noi stessi ad abbandonare la mafiosità dei comportamenti, a rinunciare apertamente ad ogni forma di disonestà e di connivenza con la ndrangheta e ad essere protagonisti del cambiamento.
Ma ha deciso soprattutto di inserirsi in questo cammino di Chiesa in un modo peculiare: utilizzando il potere dei segni.
Di quanto fosse importante abbandonare i segni del potere per essere una Chiesa povera e libera e quindi capace di essere segno credibile della presenza di Cristo e compagna dell’uomo, don Luciano lo aveva già capito da molto tempo, già da giovane seminarista, ma soprattutto lo aveva capito (vi sto tramettendo una confidenza )l’8 agosto del 1991. Quel giorno al porto di Bari sbarcava la nave Vlora, completamente ricoperta di esseri umani. Dalla prefettura chiesero aiuto alla Curia per poter far fronte a quell’emergenza. Don Luciano prima di agire vuole capire e come era solito fare, prende la macchina e da solo si avvia verso il porto. Le operazioni di soccorso dovevano ancora iniziare; la banchina era vuota ma una persona lo aveva preceduto su quel molo: don Tonino Bello. E così quella mattina mentre la Vlora, cercava di attraccare, maestosa e indifferente alle tante motovedette che le giravano attorno, sulla banchina don Tonino e don Luciano in lacrime, inconsapevolmente mostravano al mondo l’immagine di una chiesa in uscita e mendicante. Ma non solo; quella mattina don Tonino Bello che aveva rinunciato a causa della malattia della mamma ad essere il Vescovo della diocesi di Oppido – Palmi, senza saperlo consegnava idealmente il testimone del potere dei segni a colui che dopo alcuni anni sarebbe stato il pastore di quella stessa diocesi.
Vi chiedo scusa di questa confidenza, ma essendo molto bella non potevo non condividerla in questa giornata.
Il segno del potere ed Il potere dei segni. Don Luciano, persona molta attenta al territorio, ha capito sin da subito che la ndrangheta si serve di simboli. Ha capito da subito che la visibilità sul territorio è indispensabile e funzionale al sistema mafioso. E visibilità significa anche l’ostentazione sfacciata dell’opulenza da parte dei mafiosi con l’edificazione di lussuose ville, alberghi, palazzi e aziende agricole.
Da qui la necessità di contrapporre i segni del potere mafioso con il potere dei segni. E quale segno più dirompente dell’utilizzo, anche da parte della Chiesa, di una legge la 109/96, sull’uso sociale dei beni confiscati. Una legge che trasforma i beni dei mafiosi in “bene comune”, un patrimonio da difendere e rafforzare anche per rivivere la memoria di chi ha perso la vita in nome di quei valori sanciti dalla Costituzione e che alimentano la vita democratica.
E così la Chiesa della Piana, nella persona del suo Pastore, decide di scrivere altre belle pagine di storia, di storia vera di una chiesa capace di accogliere i beni confiscati ai mafiosi, di “abitarli” togliendo in tal modo consenso e territorio ai mafiosi e costruendo nuove comunità finalmente libere dalle mafie.
Una scelta di campo molto forte e profondamente profetica che inizia con la nascita e l’accompagnamento della Valle del Marro per continuare con il Centro del laicato nell’ex palazzo Molè e con l’istituzione della Parrocchia San Gaetano Catanoso e la decisione di costruire la Chiesa Parrocchiale su un terreno confiscato alla cosca Piromalli.
Perché una nuova Parrocchia a Gioia Tauro e perché la Chiesa parrocchiale su di un terreno confiscato?
In un territorio, quale quello di Gioia Tauro, che si rivela oltre che inquinato dalla presenza delle organizzazioni criminali e dalla loro cultura dell’illegalità, anche privo di risorse e strutture, una nuova Parrocchia diventa per sé stessa presidio sociale e di legalità.
La decisione dell’istituzione di una nuova Parrocchia a Gioia Tauro è stata dettata anche da queste motivazioni e quindi voleva e vuole essere una risposta a quella pedagogia criminale di cui parlavo all’inizio intercettando i ragazzi prima che entrino nei circuiti mafiosi e lavorando sul versante della formazione delle coscienze.
Se a questo aggiungiamo la scelta di costruire la nuova Chiesa su di un terreno confiscato alle mafie, in questo caso alla cosca Piromalli, il tutto assume un valore aggiunto di inestimabile importanza.
E’ segno di una chiara scelta di campo. Un ulteriore segno positivo di una Chiesa che per amore del suo popolo non ha voluto e non vuole essere complice di silenzi, convinta che accettare il silenzio e stare alla finestra a guardare significherebbe avere paura,perdere la dignità e la credibilità e non essere più la Chiesa di Cristo. “Nel coraggio dei pastori la gente ritrova il proprio coraggio” ci ha insegnato don Italo Calabrò.
E così sul terreno bagnato di sangue , che parla di angherie e violenze…, in quella ex strada statale 111 (ora Provinciale 1), uno dei luoghi simbolo in un recente passato dell’ostentazione del potere e dell’opulenza mafiosa.… un tempio, segno di rinascita di una Chiesa in uscita per essere testimone credibile di giustizia.
Oggi siamo qui la stessa Chiesa di Oppido- Palmi con un altro Pastore, Mons. Milito, che con pari tenacia e passione si è inserito sul solco dei suoi predecessori, facendo immediatamente sua la scelta di Mons. Bux della costruzione della nuova Chiesa sul terreno confiscato.
Se oggi siamo in condizione di inaugurare la nuova Chiesa, questo si deve ad una scelta precisa e chiara e all’impegno dell’attuale pastore di questa Chiesa, che ringraziamo di cuore.
Ma attenti. Ogni inaugurazione è sempre l’inizio di una nuova tappa. L’inaugurazione della nuova Chiesa indica una nuova tappa del nostro cammino . Perché siamo chiamati ad entrare nel nuovo tempio per attingere alla linfa delle fede antica, ma siamo chiamati, poi, ad uscire nella navata della piazza per portare avanti un impegno coraggioso e profetico contro ogni forma di mafia e contro ogni mafiosità di comportamento.
Non dimentichiamoci che la sensibilità e quindi l’azione che si sviluppa per promuovere la legalità e la giustizia sociale sono “vita e “vita evangelica”. E non possono essere liquidate come sensibilità marginali rispetto a quello che ogni credente in Cristo deve sentirsi appartenere. Tutto questo si regge sull’annuncio del Vangelo. Paradossalmente potremmo dire che combattere la mafia è una occasione straordinaria offerta alle Chiese e a noi tutti per avviare percorsi di conversione alla vita cristiana.
Impegnarsi per una vera e propria forma di mobilitazione della vita cristiana orientata alla libertà, al ripristino della dignità delle persone, alla costruzione di percorsi d’integrazione, alla pacificazione, alla redenzione, alla legalità; spendersi per togliere terreno alla malavita, contendendosi semmai con il “capobastone” di turno una strada o una piazza da destinare al gioco dei ragazzi fa parte dell’impegno quotidiano del credente in Cristo, che è venuto per restituirci la gioia di vivere da uomini liberi.
L’inaugurazione della nuova Chiesa a Gioia Tauro, diventa allora una provocazione per tutti.
La Piana di Gioia Tauro ha bisogno in questo momento di un sussulto di speranza, ma di quella speranza che non delude, che non è un sogno, ma un’esperienza di vita.
Tutti devono poter contare su una Chiesa e su una società civile non distratte da beghe interne e da interessi di parte e corporativi. Il Signore ci chiederà conto di ritardi e di omissioni causati dalla burocrazia del cuore e della mente. Sì, perché esiste anche questa forma di burocrazia, capace di farsi strada e di insediarsi sia nel tempio e tra persone di fede sia nei luoghi e tra persone deputate al servizio della cosa pubblica. La burocrazia del cuore e della mente è l’atteggiamento di chi ha sempre un motivo in più per non doversi rimettere in gioco con lealtà, di fronte a esigenze precise e a responsabilità riconosciute.
Siamo chiamati a rimetterci in gioco, a crescere sempre di più e lavorare per il cambiamento, impegnandoci con pazienza e caparbietà, come San Gaetano Catanoso che si definiva “sceccareddu du Signuri”, in una liberazione storica della nostra gente.
Un impegno di liberazione che deve vedere una Chiesa sempre più capace di uscire dalle sacrestie con in mano e nel cuore il Vangelo, per mettersi sulla strada del viandante.
Ed incontrare il volto del Signore nelle strade inchiodate dal potere mafioso e sul volto di chi è costretto a fare drammaticamente i conti con speranze deluse e con attese frustrate e frustranti o di chi è rimasto immobile perché qualcuno gli ha bloccato i piedi e le braccia con pesanti macigni.
E concludo con le parole di Mons. Bux: “In una terra in cui, per alcuni, essere nella storia vuol dire farsi largo fra gli altri anche con la prepotenza e la violenza… siate testimoni della misericordia e della giustizia…avendo l’obiettivo di rendere voi e gli altri capaci di stare in piedi e camminare senza stampelle come uomini liberi.”
Gioia Tauro 19 ottobre 2017